“Poi, immancabile, arrivava il momento in cui la sala faceva silenzio, e i corpi restavano in pace lasciando scivolare via le cadenze ritmate del blues, i muscoli rilasciavano a terra le ultime vibrazioni di energia trasmesse dai veloci riff di chitarra e la tensione fisica si spostava alle sole orecchie e alla testa, risuonando al centro del petto in quella che avrebbe anche potuto chiamarsi anima. Bonelli abbandonava le cover e prestava la voce alle melodie lente e desolate dell’unico inedito che, per quanto ne sapevamo, avesse mai composto, ai tempi in cui campava nelle piazze d’Europa armato solo dei suoi capelli lunghi e dei suoi vent’anni, della sua chitarra e dei suoi rimpianti:” p. 24.